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La birra in Olanda: dalle Pils tradizionali alle birre artigianali

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Le Pilsner tradizionali sono senza dubbio le più amate in Olanda, paese che registra un consumo pro capite annuo di circa 70 litri.

Da un paio di decenni l’interesse per la birra è però molto cresciuto generando consumi di nuovo genere, passione per i piccoli birrifici e aumento delle importazioni delle birre di stile britannico o belga, molto interessanti per le loro identitarie caratteristiche, come le Porter o le Stout.

Dal punto di vista storico, come in buona parte dell’Europa, anche in Olanda la birra nasce grazie ai monaci, nei cui antichi monasteri producevano birra con gli ingredienti naturali dei campi circostanti, lieviti naturali e senza alcuna lavorazione ulteriore, quindi né filtraggio, né pastorizzazione. Tradizioni che sono state tramandate nei secoli e ancora caratterizzano alcune birre particolari che proseguono, anche dopo essere state imbottigliate, la loro maturazione.

Una storia brassicola interessante è quella dell’Abbazia di Koningshoeven, a pochi chilometri da Tilburg, per la produzione della sua ottima birra trappista, merito del frate Dom Nivardus, figlio di un mastro birraio. Il talento birrario del religioso, con l’aiuto di un confratello della Moravia (regione della Repubblica Ceca), consentì non solo produrre birra per il consumo interno, ma anche di commercializzarla, contribuendo al sostentamento dell’intera comunità. Ancora ai giorni nostri è la produzione di birra, con il marchio Trappe e nove varietà, a mantenere viva l’Abbazia. Da provare i golosi biscotti “Quadrupel”, ripieni dell’omonima varietà di birra, prodotti nel laboratorio del monastero.

Tutte le nove Trappe, che portano in etichetta la prestigiosa dicitura “Authentic Trappist Product”, sono prodotte seguendo ancora le regole trappiste, tra le quali l’utilizzo esclusivamente dell’acqua dei pozzi presenti nella brughiera che circonda il complesso e il recupero del grano di lavorazione per nutrire le mucche delle stalle.

Nel mondo delle birre olandesi, da qualche anno, sono state sperimentate lavorazioni con la riduzione dell’avena e l’introduzione del luppolo e del malto, seguendo stili birrari di altri Paesi. Una piccola rivoluzione che ha visto la nascita di particolari varietà come le Bock, birre originariamente a bassa fermentazione, corpose e di colore chiaro o ambrato.. Sono oggi numerosi i birrifici che producono la propria “Bokbier”, sia alla spina che in bottiglia, sempre più spesso ad alta fermentazione. L’occasione migliore per assaggiarle è al festival annuale di Bokbier ad Amsterdam o a quello di Utrecht, che si tengono proprio ad ottobre.

Per coloro che amano gli eventi dedicati alla birra da non perdere “Pint Festival” che si tiene ad Amsterdam a fine ottobre e propone tre giornate con degustazioni, assaggi e abbinamenti con la cucina tipica. Tipologie di birra da tutta l’Olanda e oltre cento Bock alla spina.

Un Paese, l’Olanda, dove la birra vive un dinamico presente è un futuro ricco di opportunità sia di produzione che di consumo. Non dimentichiamo che è la patria della Heineken. Da prenotare senza indugio una visita memorabile, la “Heineken Experience”, nel luogo in cui tutto ebbe inizio, il primo birrificio Heineken, e imparare tutto sulla birra e sulla sua storia.

10 tips per affrontare al meglio le festività

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Fondazione Birra Moretti e Nutrition Foundation of Italy

presentano

10 TIPS PER AFFRONTARE AL MEGLIO LE FESTIVITÀ

Le festività sono alle porte e con esse anche i tradizionali pranzi e cene natalizi. Quali buone pratiche adottare per vivere i momenti conviviali tipici delle festività senza faticose rinunce?

1. Le porzioni

Nessun alimento è in assoluto da evitare, purché consumato nella giusta quantità, anche in questo periodo di festa.  Un occhio alle porzioni ci consentirà di assaggiare (con moderazione) le pietanze che aspettiamo per tutto l’anno evitando faticose rinunce. La regola è semplice: se i primi piatti (o i secondi) proposti sono due, serviamoci di due mezze porzioni

2. Le lenticchie (e gli altri legumi)

Accompagnate al cotechino o allo zampone sono di buon auspicio a Capodanno. Eppure le lenticchie, insieme agli altri legumi, dovrebbero rientrare nella nostra alimentazione indipendentemente dalle festività.  Oltre alla fibra, ai minerali (ferro e zinco) e alle vitamine del gruppo B, i legumi infatti apportano una quota importante di proteine: per questo motivo, freschi o secchi, rappresentano una valida alternativa agli alimenti proteici di origine animale (carni, uova, formaggi, pesce).

3. Il pesce

Le pietanze a base di pesce che arricchiscono le tavole delle feste in molte regioni italiane sono buone sia per il palato che per la nostra salute, purché non esageriamo con salse e condimenti.  Infatti, le proprietà nutritive di questa categoria di alimenti sono esaltate dalle ricettazioni più semplici e dalle tecniche di cottura più rispettose (vapore, griglia, bollitura).

4. La frutta secca

Noci, mandorle, nocciole e arachidi hanno in comune con le altre tipologie di frutta secca a guscio il contenuto di grassi perlopiù “buoni” (insaturi) e di composti ad azione antiossidante, i polifenoli. Ma anche il valore energetico piuttosto elevato: anche 600-700 kcal per 100 grammi. Meglio non eccedere quindi specie se alla fine del pasto) per evitare un surplus di calorie. Una porzione corrisponde a 7-8 noci o 15-20 mandorle o nocciole.

5. Il sale

Le pietanze più gustose che per tradizione compongono i menu delle feste hanno una caratteristica comune: sono saporite e molto spesso piuttosto salate. Erbe aromatiche e spezie possono aiutare a dare sapidità ai piatti senza rinunciare al gusto. E’ comunque buona norma non mettere il salino in tavola per evitare di aggiungerne in eccesso.

6. I dolci

Panettone, pandoro, torroni, sono solo alcuni dei dolci tipici della nostra tradizione che sulle tavole in festa non mancano mai.  Hanno solo un “difetto”: sono ricchi di energia e nutrienti (soprattutto grassi e zuccheri) che dovremmo tenere sotto controllo e, in più, vengono spesso serviti dopo una serie di portate impegnative.  Non è necessario rinunciarvi naturalmente.  Piuttosto cerchiamo di alternarli (prestando attenzione alle porzioni); a colazione, per esempio, una piccola fetta di pandoro o panettone può rappresentare un’alternativa a biscotti e cereali.

7. L’attività fisica

Non solo l‘attività sportiva vera e propria, ma anche il semplice esercizio fisico associato a uno spostamento a piedi o a qualche rampa di scale può contribuire a equilibrare il rapporto tra le calorie assunte con i manicaretti di rito e quelle bruciate, che in questo periodo dovrebbero essere adeguatamente aumentate.  Camminare di buon passo può essere di aiuto tra una festa e l’altra: un’ora in più al giorno dedicata a questa semplice attività può aiutare a tenere sotto controllo il peso che in queste giornate è messo a dura prova.

8. La convivialità

Ormai la ricerca scientifica lo ha confermato: è una componente imprescindibile del modello alimentare mediterraneo, ed è anche la base (e la finalità) di tutti i pranzi festivi. Consumare i pasti in compagnia condividendo il cibo con famigliari e amici aiuta ad apprezzare, dando il giusto peso, tutto ciò che mettiamo nel piatto (e nel bicchiere).

9. L’equilibrio

Ci vuole sempre, anche nella programmazione dei pasti prima e dopo le feste. Se scongiurare le grandi abbuffate è importante per farci vivere bene questo periodo dell’anno, sono da evitare anche i digiuni prima dei pranzi più ricchi.  Per non arrivare troppo affamati al momento tanto atteso, con il rischio di eccedere con gli antipasti: meglio optare per pasti leggeri nei giorni che precedono e seguono quelli festivi.

10. Consumo Responsabile

La regola anche durante le feste è di bere con moderazione e cioè circa l’equivalente di un drink al giorno per le donne, 2 per gli uomini. Ricordiamo che aperitivi e amari vanno conteggiati insieme a vino e birra nel calcolo complessivo dei drink. E se per chi beve moderatamente le feste non devono necessariamente essere l’occasione per diventare astemi, per chi deve guidare vale la regola della tolleranza zero.

La birra in Spagna: una storia antica e un dinamico presente

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Secondo fonti storiche ed archeologiche dell’Università di Valladolid, è la Spagna il Paese Europeo dove, da maggior tempo, si consuma birra. Precisamente siamo nella regione di Castiglia e León, qui, nella città di Soria, si consumava la bionda bevanda già 4500 anni orsono.

Sono infatti stati rinvenuti, durante gli scavi archeologici guidati dal professor Manuel Rojo Guerra, alcuni piccoli vasi di ceramica dipinta risalenti all’età del rame e contenenti residui di una primitiva birra di frumento. Venivano probabilmente utilizzati nel corso di cerimonie rituali.

Con un rapido balzo temporale nella storia brassicola della Spagna raggiungiamo il 1922 quando nasce, per il volere dei principali produttori di valorizzare e sviluppare il settore, l’associazione “Cerveceros de España”. Attualmente, questa organizzazione rappresenta la quasi totalità dei birrifici del Paese, alcuni dei quali sono presenti sin dalla fondazione, come Cruzcampo, Estrella Galicia, Damm, Ambar.

L’associazione supporta le aziende in ognuno dei settori della filiera, inclusa la produzione e la commercializzazione.

I beerlovers spagnoli sono decisamente legati alle tradizioni regionali e spesso scelgono birre locali cui restano fedeli. Ad esempio, nella capitale Madrid, è la Mahou la birra più bevuta, come in Galizia l’omonima Estrella Galicia.

In Andalusia domina la Cruzcampo, storico marchio brassicolo fondato nel 1904 a Siviglia.

Il settore birrario in Spagna è in continua crescita: ad oggi sono circa 300 i birrifici presenti sul mercato. Oltre alla produzione nazionale, numerosi sono anche i marchi non spagnoli che affascinano sempre più un pubblico interessato. Dalle birre americane alle Stout inglesi, fino ad un nutrita batteria di birre artigianali che rappresentano, sempre più, una piacevole novità.

Molta attenzione viene dedicata, nel settore produttivo, alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità dei processi e dell’intera filiera. Ad esempio, il gruppo HEINEKEN, con lo stabilimento Cruzcampo di Jaén, che ha riciclato oltre 1.148 tonnellate di rifiuti nel 2020, ha ottenuto il sigillo “From Waste to Resources: Zero to Landfill” di Saica Natur, che garantisce il rispetto dei più alti standard qualitativi nel recupero dei rifiuti e nel raggiungimento dell’obiettivo zero rifiuti in discarica, con verifica da parte del certificatore TÜV SÜD.

La certificazione viene rilasciata solamente se il recupero netto dei rifiuti è pari o superiore al 95%; in Spagna, HEINEKEN è l’unica beverage company ad aver ottenuto questo risultato. Lo stabilimento Cruzcampo utilizza esclusivamente energia rinnovabile al 100% e riesce a riciclare completamente l’acqua delle birre prodotte. Non c’è da meravigliarsi quindi se punta ad essere il primo birrificio a emissioni zero in Spagna.

Da scoprire anche la passione spagnola per gli abbinamenti tra birra e “tapas”, i celebri stuzzichini dedicati all’aperitivo o ad uno spuntino. Numerosissime le varietà degli ingredienti tra i quali salumi, formaggi, pesce, crostacei, verdure. Unico limite, la fantasia di chi le prepara. Jamón Ibérico, prosciutto crudo stagionato o Chorizo, salame piccante e gustoso, sono perfetti con una “Caña” da 20 cl o una Jarra, tipico boccale, di ottima birra.

Per coloro che amano i festival della birra ecco gli appuntamenti irrinunciabili. Il “Beermad” a Madrid, Casa de Campo, dove sono in degustazione oltre 170 referenze.

A Barcellona il “Barcelona Beer Festival” manifestazione di grande affluenza alla Fiera di Montjuïc, durante la quale si svolge anche il concorso internazionale “Barcelona Beer Challenge”.

Sempre a Barcellona, la “Fira del Poblenou” è il luogo ideale, direttamente affacciato sul lungomare, per scoprire decine e decine di birrifici artigianali.

Da citare anche la “Semanita de la Servesa en Sevilla” un festival che si pone l’obiettivo di diffondere la cultura birraria con degustazioni e laboratori, oltre ad un’atmosfera piacevole e divertente.

Andrea Radic
Giornalista

La birra in Gran Bretagna: sin dai tempi più antichi è un vero simbolo

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Una “Real Ale”, spillata a forza di braccia muovendo le leve in legno che si vedono sul bancone e consumata nel proprio Pub di fiducia è sicuramente una delle più piacevoli soddisfazioni che gli amanti della birra si possono togliere non appena messo piede sul suolo inglese, dove, secondo alcuni reperti archeologici si produceva birra all’epoca degli antichi Egizi.
Più avanti nel tempo furono i Celti a raggiungere le isole britanniche e, con le loro successive migrazioni, ad esportare in tutta Europa la cultura della birra giungendo anche nel nostro Paese. Si narra che nel I secolo a.C lo stesso governatore della Britannia Gneo Giulio Agricola tornato a Roma insieme a due mastri birrai originari di Gloucester e ad una certa quantità di “Cervogia”, si mise a produrla e venderla in un locale che potremmo definire la prima birreria della storia.

Il primo “Pub” inglese, abbreviazione del nome “Public House”, risale al Quattrocento, periodo in cui compaiono per la prima volta questi luoghi di aggregazione e convivialità, diventati nel corso dei secoli uno dei simboli della vita sociale britannica. La crescita continua del numero dei Pub spinse intorno all’anno 960, Re Edoardo d’Inghilterra a limitare il numero delle insegne presenti e pare sia anche stato il primo regnante a disporre regole per limitare l’eccessivo consumo di alcool.

The Old Ferryboat Inn di Holywell, nella contea di Cambridge, pare sia effettivamente il più antico “Pub” del Paese, con i suoi deliziosi muri bianchi e il tetto di paglia, tavolini nel giardino e un’atmosfera incantevole. Attenzione però alla leggenda secondo la quale il fantasma di Juliet Tewsley, giovane ragazza toltasi la vita per una delusione d’amore, sia solito palesarsi agli ospiti.

La birra, quindi, accompagna da sempre la storia della Gran Bretagna. Da notare come nel ‘700 la produzione di birra fosse svolta in casa dalle donne, per venderla di fronte alle abitazioni e arrotondare così le entrate della famiglia.
Successivamente la produzione brassicola diventa di responsabilità degli uomini, esce dall’ambito casalingo e diviene una vera e propria realtà commerciale, si formarono le prime corporazioni (la Brewers Guild a Londra e la Edinburgh Society of Brewers in Scozia).
La Gran Bretagna è anche la prima ad utilizzare le nuove tecnologie: dal controllo delle temperature, fino alla refrigerazione e all’utilizzo dei motori a vapore. Diviene così il maggior esportatore di birra del mondo: dalla “Burton” alla “Porter” le tipologie di birre inglesi raggiungono la Russia, il Nord America, l’Australia e la “Indian Pale Ale” conquista in breve tempo le colonie britanniche.

Oggi, la produzione di birra nel Regno Unito continua a rappresentare uno dei punti di riferimento del palcoscenico mondiale: questo grazie a circa 1900 marchi attivi, per una produzione complessiva annua di 38,4 milioni di ettolitri (seconda in Europa dietro solo alla Germania), e ad un consumo pro capite annuo di 68 litri.
Un vero mondo birrario, le cui tipologie presentano caratteristiche particolari e stili che sono apprezzati localmente e hanno conquistato i palati in numerosi Paesi.

Le “Pale Ale” dalle note amare ottimamente bilanciate e morbide, sentori floreali appena accennati e colore chiaro dorato, con poca schiuma e dal gusto morbido e cremoso.
Le “India Pale Ale” create durante, come detto, il periodo coloniale britannico, sono caratterizzate da elevati dosaggi di luppolo e alcool (dovevano sopportare lunghi trasporti via mare). Dette “IPA” hanno aromi speziati e floreali e un sapore pronunciato, intrigante.

Le “Porter” devono il loro nome per essere nate come birre consumate dai facchini fin dal 1700. La tostatura del malto dona un sapore di caffè e la schiuma dal colore di nocciola è densa. Molto saporite regalano un sorso tutto da scoprire.

Le “Stout”, simili alle “Porter” sono forti, corpose e scure. Spesso vengono spillate con l’utilizzo dell’azoto per creare una schiuma densa e dare al palato una sensazione liscia e vellutata.

Da provare, anche per la curiosità legata al celeberrimo gruppo musicale dei Led Zeppelin, le birre “Beavertown” nate nel 2011 a Londra e prodotte da Logan Plant, figlio del leggendario frontman del gruppo. Regalano grandi sapori e carattere, caratterizzato da qualità e innovazione. Ogni aspetto del processo di produzione della birra è meticolosamente curato tanto quanto la vena artistica che contraddistingue ogni prodotto Beavertown.

Prodotta per la prima volta nel 1927, la Newcastle Brown Ale è “The one and only” e oggi vanta d’essere conosciuta in tutto il mondo grazie alla sua originalità, qualità e consistenza. La “Ale” in bottiglia è la più venduta nel Regno Unito e ha ottenuto nel 2000 il “Protected Geographical Indicator Status” dalla comunità europea. Con il suo gusto netto e preciso viene oggi esportata in più di cinquanta Paesi con una quota importante negli Stati Uniti.

Entrambe sono disponibili sul mercato italiano, così come la “Slalom” nata negli anni ‘60. Una “Extrastrong” (9 gradi), una scelta da fare con decisione per provare una intensa sensazione gustativa.

La birra in Germania: tradizione antichissima e contemporanea

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La birra è bevanda nazionale in Germania con consumi pro capite tra i più alti in Europa, di una produzione che supera gli 85 milioni di ettolitri. Furono i monaci a dare origine alla tradizione birraria tedesca durante i periodi di digiuno che duravano quaranta giorni. In questo lasso di tempo potevano infatti bere birra che era molto spessa, consistente, quasi una zuppa, tanto che veniva chiamata “pane liquido”. Tutto questo avveniva in Baviera, già nell’VIII secolo all’abbazia di Weihenstephan e nel 1040 la città di Frisinga autorizzò la produzione di birra nel monastero. La produzione non è mai cessata, e il birrificio è il più antico del mondo ancora in attività.
La storia della birra mondiale non sarebbe stata la stessa senza la fondamentale influenza della Germania e della Baviera in particolare.
Il 1516 segnò una linea di demarcazione nella produzione. Fu infatti in quell’anno che il duca Guglielmo IV di Baviera, emanò il celebre Reinheitsgebot, il cosiddetto “Editto della purezza”, che mutò per sempre il mondo birrario. Promulgato in realtà per riservare l’uso di frumento e segale a favore dei panificatori, ebbe il grande effetto di tutelare la qualità della birra, vincolando la produzione all’uso esclusivo e obbligatorio di orzo, luppolo e acqua. Il lievito, ancora sconosciuto nel XVI secolo, venne aggiunto agli ingredienti dopo la sua scoperta.
L’editto, che avrebbe dovuto rimanere in vigore solo per quell’anno con l’obiettivo di tutelare il raccolto, non fu mai ritirato fino al 1992 quando la Germania dovette adeguarsi alle normative europee.
Il prototipo della moderna birra Lager nacque infatti in Baviera nel 1539.

Federico II Hoenzollern, re di Prussia, nel 1777 decretò: “È vergognoso questo incremento nella quantità di caffè consumata dai miei sudditi e l’ammontare di denaro che conseguentemente esce dal Paese. La mia gente deve bere birra. Sua Maestà è stata cresciuta a birra e così i suoi avi”.
Più avanti nel tempo, siamo nel 1844, la passione dei tedeschi per la birra fece quasi scoppiare una guerra. Accadde quando il re Ludovico I impose una tassa sulle birrerie, provocando la rabbia dei produttori di birra e dei loro dipendenti. Il malcontento causò una protesta che divenne in breve una vera rivolta contro il governo. Quattro giorni di scontri bastarono per dimostrare l’attaccamento della popolazione verso la bevanda nazionale.
Questa tradizione storica è sicuramente tra le ragioni per le quali, la birra tedesca ha mantenuto uno standard qualitativo così alto.
Diverse tipologie di birra tedesca si distinguono per le basse fermentazioni: Lager, Dunkel, Schwarzbier, Pilsner o le Märzen. Non manca la produzione di una gamma, in crescita, di Ale e birre acide.

Simbolo della dimensione brassicola tedesca è ovviamente L’Oktoberfest, la festa della birra più famosa al mondo. Le origini risalgono al 12 ottobre 1810, data delle nozze, celebrate a Monaco di Baviera, tra il principe Ludwig e la principessina Teresa.
Gli sposi fecero organizzare una grande festa per condividere il momento con i loro sudditi, nella piazza della città, che a partire da quel momento prese il nome di Theresienwiese, “il prato di Teresa”. La festa ebbe un grande successo, anche grazie ai fiumi di birra che scorrevano e piacque a tutto il popolo. Venne così stabilito di rinnovare l’evento ogni anno sino ai giorni nostri.
Oggi si tengono due manifestazioni sotto l’emblema Oktoberfest. Alla tradizionale di ottobre a Monaco, che quest’anno celebra la sua 188 edizione, si tiene anche una Oktoberfest di primavera nelle città di Monaco e Stoccarda. Eventi meno turistici e più locali, perfetti per vivere le sensazioni della tradizione della festa della birra più famosa e antica del mondo. Gustare boccali di birra, accompagnati dalle specialità bavaresi come stinco di maiale, il pollo allo spiedo e i celebri Brezel, tipico pane a forma di anello e salato in superficie. Il tutto accompagnato dalle orchestrine che suonano musica tipica.

Tra le diverse birre, da non perdere la “Erdinger Oktoberfest”, dal colore giallo intenso e dalla schiuma compatta. L’aroma è fruttato con leggeri sentori erbacei e grano, mentre in bocca il gusto si presenta delicato con aroma fruttato e note di banana.
Le birre Erdinger vengono prodotte sin dal 1886 ad Erding in Baviera. Un birrificio che segue le ricette dell’antica tradizione, utilizzando modernissime tecnologie ed impegnando materie prime di altissima qualità: luppoli nobili dell’Hallertau, lieviti selezionati e riprodotti in azienda, acqua che proviene dai pozzi sotterranei di proprietà del birrificio.
Altri due suggerimenti nel vastissimo panorama di birre tedesche, comprendono: Privat-Brauerei Schmucker GmbH & Co. KG, fabbrica di birra a Mossautal, nello stato tedesco dell’Assia e Paulaner Brewery Group.
La prima comprende 18 tipi di birra tutte rigorosamente prodotte seguendo l’editto di purezza. Il logo del marchio di oggi mostra un ‘contadino Odenwald’ in costume maschile e pizzo nero a tre punte, indossato intorno al 1900 in occasione di feste nell’Odenwald.
La Paulaner comprende diversi marchi e birrifici tra i quali Hacker Pschorr, Kulmbacher, Fürstenberg, Schmucker, ed è presente anche sul mercato italiano, nota interessante per gli appassionati.
Germania e birra binomio indissolubile, basti pensare che per dire “non è affar mio” i tedeschi usano l’espressione “das ist nicht mein Bier”, che significa “questa non è la mia birra”.

La birra in Francia: eleganza e piacere, identità e carattere

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Esistono luoghi sempre molto piacevoli, perfetti per bersi una birra. Tra questi i bistrot francesi hanno un fascino tutto particolare. Un tavolino all’aperto, il passeggio della gente ed ecco il Garcon, con il tipico grembiule ripiegato, appoggiare una “Demi Pression” dalla schiuma perfetta. Indipendentemente dalla geolocalizzazione, che sia in Costa Azzurra o in Provenza, in un quartiere parigino, in un villaggio del Perigord o sulla costa oceanica della Bretagna, quel momento è puro piacere.

Perché la birra, in Francia, è tradizione e storia, eccellenza e alta qualità. Il più antico birrificio di Francia si trova a Hochfelden, nel nord dell’Alsazia ad alcuni chilometri da Strasburgo e ha cominciato a produrre nel 1640.

Sarà per questo che, secondo la ricerca di “Baromètre Sowine/Dynata 2022, il 51% dei francesi indica la birra come bevanda alcolica preferita, che cresce del 12% nella preferenza dei consumatori e, per la prima volta, supera il vino (49%).

Anche in Francia sta aumentando  il comparto delle birre del territorio, spesso realtà di piccole medie dimensioni che valorizzano le materie prime locali e la cultura birraria regionale. Una sorta di piccola grande rivoluzione con esempi particolari, da una IPA di stile statunitense prodotta in Alta Savoia, ad una birra dal sentore affumicato che nasce a Grenoble. In Corsica, bellissima nella sua affasciante rudezza, viene prodotta una Amber Lager “Bière à la Châtaigne” dove la farina di castagne sostituisce in parte il malto.

Bella storia anche quella che vede protagonista un Pellicano. Si chiamava così “Pélican” la birra nata nel  1914 con Louis Boucquey, Armand Deflandre e Raoul Bonduel, tre fabbricanti di birra a Lille. Nel 1935, Jean Deflandre, figlio di Armand, ha l’idea di unire due malti e utilizzare la fermentazione alta invece che bassa e crea una birra molto diversa dal solito. Cambia così il nome che diventa “Pelforth” unendo Pélican e fort. Tre sono le referenze di questa birra di grande identità, un vero piacere degustare la Blonde, la Brune o la Ambrée.

Le zone della Francia dove è maggiormente presente la produzione brassicola sono il nord e l’est. In totale nel Paese si contano oltre 600 produttori di birra.

Alsazia, Lorena, Nord-Pas-de-Calais sono luoghi dove gli abbinamenti birra-cucina del territorio, sono davvero imperdibili.

A Schiltigheim, capitale della birra d’Alsazia, in occasione della Festa della Birra che si tiene ad agosto, da provare il bretzel (tipico pane a forma di otto salato in superficie) da abbinare ad una birra Fischer: Tradition per chi ama una lager di grande bevibilità oppure Doreleï per chi preferisce un’ambrata di carattere. Per non farsi mancare nulla, abbinamento suggerito con la Fischer Blanche e “Stinco brasato” ovviamente alla birra.

Ad una ragionevole distanza, nella confinante regione della Lorena, merita una visita il Museo Internazionale della birra a Stenay.

Molto interessante e piacevole il percorso turistico “La route de la bière et ses saveurs”, 40 km tra la Champagne e le Ardenne francesi.

Tra storia, leggende, piccoli borghi e autentiche brasserie artigianali, da scoprire Charleville-Mezieres con la Petite Brasserie ardennaise o Lanoise-sur-Vence con il Relais de la Poste et de Messagerie che risale al 17 secolo e la piacevole e la brasserie Ardwen dove l’orzo con cui producono la bionda, la Blanche e l’ambrata proviene dalla Champagne.

Curiosità finali. Per un’esperienza “oltremare” ecco la Lorraine una birra bionda prodotta dall’omonimo birrificio in Martinica. Sull’isola di Oleron, di fronte a Rochefort sulla costa atlantica, il birrificio “Des Naufrageurs” piccola realtà di grande charme. Un’analoga esperienza si può vivere con la birra de Ré nell’île de Ré.

Per un aroma torbato, da provare la Adelscott il cui malto subisce una lavorazione similare a quella del whisky.

Un altro angolo di paradiso, l’isola di Porquerolles adagiata nel mediterraneo, merita la degustazione della birra artigianale Hypaea del birrificio Porquerollaise che produce in modo totalmente eco-responsabile.

Appuntamento a maggio a Parigi per la “Paris Beer Week”, festival della birra artigianale.

Andrea Radic
Giornalista

La birra in Belgio: una tradizione secolare di gusto e identità

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Il Belgio ha poco più di undici milioni di abitanti e oltre mille varietà di birra: a conti fatti una ogni undici mila persone. La birra belga è un simbolo della nazione per storia, cultura e piacere.

Le prime corporazioni di fabbricanti nascono nel corso del 1300 a Bruges, Liegi e nel 1356 a Bruxelles dove nel XV secolo la sede della Gilda (corporazione) dei Tappezzieri, “De Gulden Boom” (L’albero d’oro) sita nella Grand Place, viene anch’essa acquistata dai fabbricanti di birra.

Da allora il Belgio ha sempre occupato un posto d’onore nel mondo brassicolo. Tra il 1700 e il 1800 il diffondersi delle attività artigianali nei monasteri Trappisti riguarda anche la produzione di birra. In Belgio vi sono sei monasteri dove i monaci producono birra: Westmalle, Westvleteren, Achel, Chimay, Orval e Rochefort. Inizialmente la produzione era ad uso esclusivo dei monaci, ma alla fine del 1800 iniziano le prime attività commerciali.

L’arte della fabbricazione della birra è gelosamente custodita sia in ambito religioso che civile, gli insegnamenti e i segreti si tramandano di padre in figlio, sino alla nascita, nel 1886 a Gand, dell’Istituto superiore d’industria della birra, di fatto la prima scuola birraria, cui segue l’apertura di una sezione dell’industria della birra all’università cattolica di Lovanio.

All’inizio del ‘900 in Belgio si contano oltre tremila birrifici, e nel 1934 nasce la prima “Triple”. Nell’immediato dopoguerra, i monaci dell’Abbazia di Affligem, fondata nelle Fiandre nell’anno mille, firmano un accordo con un birrificio di Anversa per produrre le loro birre. È la prima volta che una “birra di abbazia” viene prodotta al di fuori del monastero.

Una storia lunga e affascinante che, nel corso del tempo, ha attraversato numerose vicissitudini, incluse alcune guerre, ma ha sempre protetto la tradizione e la qualità della birra nelle sue diverse tipologie dalle Pilsener, alle Ale, dalle trappiste alle ambrate, sino alle particolari Lambic e alle ricercate birre d’Abbazia. Dal 2016 grazie alla passione dei birrai belgi, e alla loro spasmodica ricerca delle migliori tecniche produttive, “La tradizione della birra in Belgio” viene iscritta nell’elenco del Patrimonio Immateriale dell’Umanità”.

La birra è infatti, nel Belgio come in altri Paesi di grande tradizione brassicola, espressione piena della cultura e dell’identità della nazione ed è strumento attivo dell’Unione tra le comunità. Un denominatore comune della convivialità.

Gustare una birra belga è innanzitutto un piacere e la varietà di tipologie consente una scelta adatta ad ogni momento e a numerosi ghiotti abbinamenti. Le diverse birre sono prodotte in maniera tradizionale ma spesso contengono profumi e aromi particolari dagli agrumi alle spezie, alle erbe spontanee. Ottimamente bilanciate nelle note amare, acide e sapide, sono birre di carattere e struttura ben rappresentative di una cultura ultra secolare, tra le tante Fiamminghe Scure, Stout, Geuze, Bianche, senza dimenticare le Birre di Natale, dalle note speziate e avvolgenti.

Particolare la “Lambic” una birra a fermentazione spontanea, il cui raffreddamento all’aria aperta consente di ricevere lieviti spontanei infondendo le caratteristiche del territorio. Successivamente, affinate in legno, trovano la loro piena espressività. In alcune tipologie l’aggiunta di ciliegie morbide e succose dona un piacevole sentore fruttato, come nella Mort Subite Xtreme Kriek.

Tra gli innumerevoli gustosi abbinamenti, da provare un tipico “Ragù” della tradizione partenopea con una delle Belgian Strong Ale, ad esempio una Dark dalle note di frutta secca e spezie. Perfetta davanti ad un camino acceso e alle “costine alla brace”, una birra doppio malto di alta fermentazione, come la Affligem Blonde.

Per una vasta scelta il Delirium Bar di Bruxelles, con oltre duemila etichette in carta, così tante da rientrare nel Guinness dei Primati.

Andrea Radic
Giornalista

Il trentino Silvio Galvan vince il premio Fondazione Birra Moretti per la valorizzazione della birra a tavola

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IL PREMIO DI FONDAZIONE BIRRA MORETTI AI CAMPIONATI ITALIANI ASPI

All’evento ASPI “Champagne in Villa”, il Premio Fondazione Birra Moretti per la valorizzazione della birra a tavola è stato assegnato al trentino Silvio Galvan. A conferire il riconoscimento è stato Salvatore Castano, Miglior Sommelier d’Europa & Africa nel 2021 e vincitore del Premio Fondazione Birra Moretti nel 2019.

 

In occasione di “Champagne in Villa”, l’evento ASPI (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana) volto a promuovere il Miglior Sommelier d’Italia 2022 ed il Miglior Sommelier Junior 2022 che si è svolto a Monza lo scorso 14/15 maggio 2022, Fondazione Birra Moretti ha premiato Silvio Galvan per la valorizzazione della birra a tavola per la passione, la professionalità e le alte capacità dimostrate.

Silvio Galvan, 31 anni, trentino d’origine, è oggi sommelier presso l’hotel La Perla di Corvara (BZ). Ha iniziato il suo percorso nel mondo della ristorazione a soli 15 anni, quando ha intrapreso gli studi presso l’Istituto di Formazione Professionale Alberghiero di Levico Terme. “Questa passione è nata durante gli studi all’istituto professionale Alberghiero di Levico, dove, non smetterò mai di dirlo, ho avuto la fortuna di trovare insegnanti che sono riusciti a trasmettermi la loro passione e la loro voglia di fare ospitalità”, racconta il giovane.

A premiare Silvio Galvan è stato Salvatore Castano, Miglior Sommelier d’Europa & Africa nel 2021 e, nel 2019, vincitore del Premio Fondazione Birra Moretti per la valorizzazione della birra a tavola.

Salvatore Castano, nato a Messina, continua a farsi conoscere nel panorama internazionale e, dopo aver rappresentato l’Italia ed aver girato il mondo, oggi lavora al Londra  per un importante fornitore di vini.

PAOLO MERLIN, DIRETTORE DI FONDAZIONE BIRRA MORETTI: IMPORTANZA DELLA BIRRA NELLA SOMMELLERIE

Durante l’evento dedicato alle figure professionali che accompagnano i consumatori nelle loro scelte e creano percorsi d’abbinamento nei quali le bevande vengono consigliate per valorizzare al meglio piatti e sapori innovativi, la birra si è confermata protagonista insieme al vino.

Paolo Merlin, direttore di Fondazione Birra Moretti spiega: “La partnership tra Fondazione Birra Moretti e ASPI è nata diversi anni fa e, oggi come ieri, siamo orgogliosi della nostra collaborazione e di aver partecipato nuovamente a questo prestigioso concorso a conferma dell’importanza della birra nella sommellerie e della continua valorizzazione dei giovani talenti, che da sempre ci contraddistingue. La birra è una bevanda millenaria che negli anni ha saputo distinguersi e farsi riconoscere, è uno degli elementi distintivi dell’evoluzione della figura del sommelier” continua il Direttore. “Durante un abbinamento o nella ricerca del prodotto che meglio risponde ai gusti, alle esigenze ed alla curiosità del cliente, la presenza di un professionista che sappia rispondere in maniera chiara e competente a tutte le sue richieste è fondamentale per guidare il consumatore verso scelte consapevoli e per diffondere la cultura della birra a tavola”.

Birra nel mondo: Africa

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L’Africa è la terra dei contrasti, dagli aridi deserti alle praterie, dalle foreste pluviali a fertili paludi. Ma è anche la terra delle prime innovazioni. Infatti, i popoli che abitavano queste terre nel periodo delle grandi migrazioni portarono con sé, durante i loro spostamenti, cereali come miglio ed orzo. Questi cereali però non venivano coltivati per sfamarsi, bensì per produrre la birra che ha contributo allo sviluppo dell’agricoltura.

L’antico Egitto

La birra si diffuse nell’antico Egitto intorno al 3.500 a.C. dove veniva considerata un elemento essenziale all’interno delle loro diete e rimase per più di 3.000 anni la bevanda più popolare. Gli antichi egizi credevano che l’arte della birra discendesse direttamente da Osiride, (l’inventore dell’agricoltura e della religione) considerandola così la bevanda più sicura e più bevuta, tanto da dedicarle una divinità: la Dea Tenenet.

Con l’arrivo di Alessandro Magno che nel 332 a.C. conquistò l’Egitto e introdusse leggi e tasse che ostacolarono la birra, il vino prese il sopravvento.

La cultura birraria

La birra indigena, tramandata dalle donne di generazione in generazione, veniva consumata durante la fase di fermentazione quando i lieviti ed i batteri locali utilizzati per convertire in alcol gli zuccheri dei cereali creano delle birre sempre diverse per gusto e profumi. Questo fa parte delle tradizioni di “birra casalinga” tipiche della cultura di questi popoli.

Queste birre, presenti ancora oggi nel mercato locale, vengono fatte con alcuni prodotti tradizionali (es: miglio, radice di Manioca), ma le birre disponibili attualmente sul mercato africano sono prevalentemente Lager di stile Europeo.

Prima del 1600, le donne che abitavano Capo di Buona Speranza, producevano Birre con ingredienti locali da bere durante feste, incontri ed altri eventi, ma con l’arrivo degli europei vennero inseriti nuovi ingredienti che riflettevano maggiormente i loro gusti.

Questa parte di terra divenne uno scalo per le navi della Compagnia delle Indie e, nel 1664, i coloni olandesi concessero la licenza per produrre birra che veniva poi venduta ai marinai per i viaggi in mare. Così il monopolio della Compagnia delle Indie Orientali sui prodotti importati e le condizioni di vendita hanno soffocato l’industria birraria locale.

La nascita dei birrifici ed i nuovi ostacoli

Nel 1790 l’arrivo degli inglesi ha portato alla nascita di nuovi birrifici.

Ma con la corsa all’oro della fine del XIX secolo, seppur aumentò la richiesta di lavoratori, i coloni proprietari delle miniere, temendo che l’alcol riducesse la produttività dei minatori, introdussero una legge (nel 1897) che dichiarava illegale il consumo di alcol da parte degli abitanti di quelle terre.
Questo però, ha avuto anche un effetto contrario e inaspettato, infatti i proprietari delle miniere stesse iniziarono a vendere, tramite il mercato nero, la birra ai loro lavoratori o a fornirla come compenso salariale.

Il tipo di birra e lo stile di produzione che hanno introdotto i coloni europei, dall’inizio del 900, ha lasciato un segno indelebile. Iniziarono così a sorgere i grandi birrifici che, per ampliare il loro business, cominciarono a produrre birre con ingredienti locali così da indurre all’acquisto anche i consumatori di birra casalinga.

Nonostante le restrizioni imposte, le donne continuavano a produrre le birre tradizionali e, durante gli anni dell’apartheid (1948-1991), la producevano in segreto ed offrivano un posto dove consumarla e rilassarsi. Con l’abolizione dell’apartheid, questi luoghi segreti sono diventanti luoghi popolari dove recarsi per compare alcolici, mangiare e stare in compagnia.

Oggi, nonostante il mercato sia guidato da poche grandi aziende e da una buona presenza di birrifici artigianali, esiste ancora la tradizione della “birra fatta in casa”.

Birra nel mondo: Oceania

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Sembra difficile da credere ma l’Oceania, con i suoi roventi deserti Australiani, i litorali rocciosi della Nuova Zelanda, l’umidità del Sud Pacifico ed una popolazione di circa 40.000.000,00 di abitanti, produce alcune delle birre più richieste al mondo. In questa terra la birra ha una storia relativamente recente e risale a quando i coloni europei caricavano, prima della partenza, la birra sulle loro navi perché rappresentava un’alternativa sicura e nutriente all’acqua.

Si narra che nel 1770 il capitano James Cook, primo europeo ed approdare in Australia orientale, sia partito con circa 4 tonnellate di birra.

I primi passi della birra in Oceania: l’Australia

Spuntano in una parte del continente dove, grazie alla posizione geografica eccezionale, si riesce a coltivare luppolo ed orzo.

Queste aree si concentrano principalmente in Australia che, grazie alla conformazione del suo territorio, riesce a produrre diverse qualità di birra. Ma i tentativi di produrre birra con tecniche ed ingredienti locali passano in secondo piano al fronte dell’azione dei migranti provenienti dai paesi europei (Regno Unito su tutti). Sono infatti i migranti del vecchio continente a plasmare l’evoluzione brassicola con l’importazione di Pale Ale, Porter e Stout. Ciò accadde principalmente per una questione di comodità per gli europei: erano infatti necessari circa 3 mesi di viaggio per trasportare le birre dall’Europa all’Australia.

Per questo motivo, nel XIX secolo, si cominciò a produrre le birre in loco portando ad un aumento della popolarità delle birre chiare, in particolare Pale Ale e Lager.

I primi passi della birra in Oceania: la Nuova Zelanda

Anche in Nuova Zelanda la birra arrivò solo nel XVIII secolo, precisamente quando gli Inglesi – che si stabilirono sulle coste neozelandesi – portarono con sé questa bevanda prima e, soprattutto, l’attrezzatura per poterla produrre.

All’inizio, nella  prima metà del 1.800, grazie alla tecnologia e ai processi di produzione importati dai coloni inglesi, si avviarono i primi esempi di produzione locale e, nella seconda metà dello stesso secolo, vennero aperti i primi pub in stile inglese che servivano principalmente Pale Ale, Porter e Stout.

Nonostante le condizioni climatiche e territoriali mettano sempre in difficoltà la produzione della birra, il settore è ad oggi molto sviluppato e la birra è tra le bevande alcoliche più comuni in questo continente.