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Birre IPA: ecco i cibi con cui abbinarle

By Osservatorio

Leggi l’articolo originale su Serious Eats

La popolarità delle birre IPA sta crescendo. E questo è un dato di fatto. Addirittura, alcuni produttori di lager tedesche hanno iniziato a produrre una loro linea IPA per soddisfare la domanda.

Ci sono due tipologie di India Pale Ale: inglese e americana. Entrambe sono birre in cui il luppolo è particolarmente protagonista, con una percentuale alcolica che va dai 5 agli 8 gradi. La versione inglese è spesso più equilibrata, con un’amarezza moderata accompagnata da un ampio malto caramellato. I sapori di luppolo tendono verso l’erba e la terra con sfumature di agrumi. Nelle IPA americane il sentore di luppolo è più pronunciato e il profilo del malto è generalmente semplice, con note di caramello.

Le IPA sono birre dotate di particolare intensità e, per essere valorizzate appieno, vanno abbinate a piatti altrettanto intensi. Quando abbiniamo una IPA a un cibo, possiamo scegliere di esaltare tre differenti caratteristiche: l’amarezza, il sapore di luppolo (speziato, erbaceo, terroso e agrumato) e le note di caramello.

I sapori di luppolo hanno una grande affinità con le spezie e i frutti leggeri. L’amarezza ha un effetto di raffreddamento: se abbinata a piatti molto speziati, una IPA saprà “spegnere le fiamme”. L’amaro inoltre amplifica anche i sapori salati e umami.

I sapori di caramello nella birra si legano invece al lato più dolce di un piatto, sposandosi ad esempio molto bene con la cipolla caramellata o le pelli croccanti di pollo arrosto.

Vediamo allora qualche abbinamento.

 

Cibi salati e fritti. Le birre molto amare come le IPA si legano benissimo a questa tipologia di piatti, poiché il sale e il grasso tonificano l’amarezza e richiamano l’attenzione sul malto sottostante.

Indian Curry. Il sapore del luppolo si fonde meravigliosamente con la ricchezza dei sapori della cucina indiana, legandosi a meraviglia con spezie come il tamarindo, il coriandolo e il cardamomo. Una buona IPA inglese costituisce un perfetto connubio con un infuocato curry di Madras, rinfrescandone e moderandone il sapore grazie alle piacevoli note amare.

Cucina messicana. Nel cibo messicano ritroviamo sapori eterogenei come coriandolo e fagioli fritti, lime e peperoncini arrostiti. Sono tutti ottimi partner per le IPA e le loro combinazioni di caramello e agrumi. Fajitas di qualsiasi varietà e tacos di pesce si accompagnano perfettamente alle IPA.

Carne alla griglia. Le IPA sono favolose quando le abbiniamo con le grigliate di carne. La crosta caramellata della carne cotta alla griglia esalta il malto al caramello della birra, mentre il sapore del luppolo e l’amarezza forniscono un perfetto contrasto.

Non dimentichiamo il dessert! La maggior parte delle persone non penserebbe di abbinare le note amare di una IPA a un dolce. Ma a volte, da questo incontro possono nascere grandi cose. Un abbinamento da provare? IPA e tartufo al cioccolato speziato al tamarindo o allo zenzero: il malto esalterà il lato caramelloso del cioccolato e il luppolo intensificherà la spezia.

Premio Birra Moretti Grand Cru: fatti, nomi, numeri

By Osservatorio

CHE COS’È
Il Premio Birra Moretti Grand Cru è il concorso nazionale per chef e sous-chef under 35, promosso da Fondazione Birra Moretti in collaborazione con Identità Golose, il più importante congresso italiano di cucina internazionale.
Dal 2011 invita i talenti culinari a ideare e creare piatti utilizzando la birra fra gli ingredienti e in abbinamento. Il progetto, che ha contribuito a promuovere il ruolo della birra nell’alta ristorazione e a portare innovazione all’intero comparto, è la più importante piattaforma di talent scouting nel panorama della ristorazione d’autore.

I NUMERI DELLE 8 EDIZIONI

1.172 giovani chef coinvolti

1.412 ricette inviate

44 giurati

 

ALBO D’ORO DEI VINCITORI

2011 Giuliano Baldessari, sous-chef Le Calandre, oggi chef del Ristorante Aqua Crua (1 stella Michelin)

2012 Christian Milone, chef Trattoria Zappatori (1 stella Michelin)

2013 Luigi Salomone, sous chef Marennà, oggi chef del Ristorante Piazzetta Milù (1 stella Michelin)

2014 Davide Del Duca, chef Ristorante Osteria Fernanda

2015 Riccardo Gaspari, chef Ristorante El Brite de Larieto

2016 Giuseppe Lo Iudice, chef Ristorante Retrobottega

2017 Solaika Marrocco, chef Primo Restaurant

 

I GIURATI DAL 2011 A OGGI

Francesco Apreda, Corrado Assenza, Giuliano Baldessari, Fabio Barbaglini, Heinz Beck, Andrea Berton, Massimo Bottura, Cristina Bowerman, Antonino Cannavacciuolo, Moreno Cedroni, Roberto Cerea, Carlo Cracco, Pino Cuttaia, Iside De Cesare, Davide Del Luca, Nicola Dell’Agnolo, Nino di Costanzo, Gennaro Esposito, Annie Feolde, Matteo Ghiringhelli, Alessandro Giani, Gaia Giordano, Paolo Marchi, Giancarlo Morelli, Alessandro Negrini, Davide Oldani, Simone Padoan, Giuseppe Palmieri, Giancarlo Perbellini, Alessandro Pipero, Isabella Potì, Alfredo Pratolongo, Giuseppe Rambaldi, Marco Reitano, Andrea Ribaldone, Antonella Ricci, Claudio Sadler, Luigi Salomone, Andrea Sarri, Michela Scarello, Luigi Taglienti, Alberto Tasinato, Giuseppe Vaccarini, Viviana Varese.

Nella patria della Pilsner, la siccità minaccia la coltivazione del luppolo

By Osservatorio

Leggi l’articolo originale su Reuters.com

Cattive notizie dalla Repubblica Ceca per tutti gli amanti della birra: lo scorso anno il luppolo coltivato nella patria della Pilsner è stato vittima di una siccità estiva che non ha fatto prigionieri, riducendo i raccolti di circa il 30% rispetto alla media annua.

I coltivatori cechi di luppolo rischiano di peggiorare considerevolmente le performance produttive rispetto ai principali produttori mondiali di birra, ovvero Germania e Stati Uniti che, insieme, rappresentano circa i tre quarti dell’offerta globale. Solo un leggero calo, infatti, è previsto in questi paesi nel 2018.

Nel 2017 la produzione mondiale di luppolo ha raggiunto le 118.400 tonnellate.
Il luppolo (insieme ad acqua, malto e lievito) è uno dei 4 ingredienti della birra ed è quello che conferisce alla bevanda la sua caratteristica e piacevole nota amara. La crescente popolarità delle birre artigianali, a livello mondiale, ha aumentato considerevolmente la domanda di luppolo negli ultimi anni.

Il luppolo ceco, in particolare il Saaz di Zatec (la tipologia più pregiata), cresce nella regione nord-ovest del Paese e appartiene alla varietà denominata “luppolo nobile”.

La mancanza di pioggia del 2018, soprattutto nei mesi chiave per lo sviluppo del raccolto – quelli estivi – ha danneggiato sensibilmente la produzione brassicola della Repubblica Ceca, che oltre ad essere la patria della Pilsner è anche il Paese con il più alto consumo pro-capite di birra al mondo (oltre 143 litri all’anno).

Stando alle stime, nel 2018 il raccolto di luppolo non avrebbe superato le 4.700 tonnellate, valore inferiore di circa un terzo rispetto alla media annua e ben al di sotto del raccolto del 2017 che era stato di 6.800 tonnellate (dato riportato dalla Czech Hop Growers’ Union).

La birra in Italia dà lavoro a 92 mila persone

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L’industria della birra in Italia è un comparto che si sta dimostrando più che mai in salute, con risvolti estremamente positivi anche in termini occupazionali.

Ad oggi il settore assicura lavoro a 92.066 dipendenti distribuiti proporzionalmente lungo l’intera filiera, secondo gli ultimi dati disponibili, quelli del 2017, analizzati nella quarta ricerca di Osservatorio Birra, promossa da Fondazione Birra Moretti e realizzata da Althesys, dal titolo: “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”.

Non si tratta di un dato isolato, al contrario siamo davanti a un solido trend di crescita. Dal 2015 al 2017, infatti, la filiera della birra ha creato ben 6.000 posti di lavoro in più (il numero di dipendenti nel 2015 era di 87.668), con un incremento di oltre il 5%. In particolare, nel 2017, per ogni addetto alla produzione della birra il settore ha assicurato ben 22 occupati complessivi a livello di filiera.

La fase della filiera che dà più lavoro è quella della distribuzione e vendita di birra destinata ai canali Ho.Re.Ca. e Modern Trade, dove i lavoratori dipendenti sono circa 84.000. Anche in questo caso il trend è molto incoraggiante: dal 2015 al 2017, il numero di lavoratori dipendenti direttamente connessi alla distribuzione e vendita di birra è aumentato di circa 4.000 unità (+13%) da 80.347 a 83.829. Numeri importanti e significativi se si pensa che a beneficiarne sono soprattutto i giovani. Secondo gli ultimi dati ISTAT, infatti, nel 2015 il 33,7% dei lavoratori dipendenti del settore della ristorazione aveva meno di 30 anni e l’82,8% meno di 50 anni.

Nuovo ceppo di lievito dalla Patagonia

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Leggi l’articolo originale su Forbes

Quest’anno HEINEKEN ha stretto una partnership con National Geographic per raccontare l’incredibile scoperta di un nuovo ceppo di lievito avvenuto otto anni fa in Patagonia.
Dalla partnership è nato il video A Wild Lager Story – Patagonia, grazie al quale possiamo conoscere protagonisti e luoghi di una delle più importanti scoperte in campo birrario degli ultimi 130 anni.

Tutto ha inizio nel 2010 a Bariloche, in Patagonia, dove un gruppo di scienziati capitanati dal microbiologo argentino Diego Libkind rinviene un fungo mai visto prima, caratterizzato da un particolare odore di alcol. Nel suo laboratorio, Libkind constaterà che quel fungo è un ceppo di lievito, fino ad allora sconosciuto, che si rivelerà perfetto per produrre birre lager.
La scoperta è importantissima e permette di percorrere due strade: da una parte, lavorare con un nuovo ceppo significa poterne esplorare il gusto inedito che lo caratterizza; dall’altra, il nuovo ceppo di lievito può essere ibridato con quelli già conosciuti e “ciò significa centinaia di nuovi sapori“, afferma soddisfatto Libkind.

Nel 2017 HEINEKLEN mette a frutto la scoperta e commercializza la prima birra prodotta utilizzando il nuovo ceppo di lievito: la birra è la “H41” e prende il nome dalla latitudine di Bariloche.
Definire il nuovo sapore e il giusto equilibrio ha richiesto ai mastri birrai di HEINEKEN diversi tentativi, in quanto si trattava di un ceppo con cui nessuno aveva mai lavorato prima, quasi “selvaggio”, che portava con sé sfumature di sapori tutte da sperimentare.

Per realizzare la H41 è stata usata la ricetta originale Heineken. Ma il prodotto finale è molto diverso dalla classica lager prodotta dalla Compagnia olandese, proprio perché il ceppo di lievito è diverso.
In due parole, una “Wild Lager”.

Lombardia, il motore della produzione di birra in Italia

By Osservatorio

La Lombardia è l’autentico cuore pulsante del comparto birrario generando da sola un quarto del valore totale delle vendite di birra in Italia. Non solo: la birra venduta in questa regione crea benefici anche per le casse dello Stato e influisce positivamente sull’occupazione.

È quanto evidenzia la quarta ricerca di Osservatorio Birra promossa da Fondazione Birra Moretti e realizzata da Althesys. Nel 2017 l’intera filiera della birra ha generato in Italia oltre 8,8 miliardi di euro di valore condiviso, e il 25,5% di questa cifra, pari a quasi 2,3 miliardi di euro (2.269,5 milioni), viene proprio dalla Lombardia dove rappresenta lo 0,62% del PIL regionale.

La Lombardia conta infatti la presenza di importanti aziende multinazionali e il maggior numero di birrifici artigianali del Paese: 137, rispetto agli 80 del Piemonte, ai 74 del Veneto e ai 63 della Toscana. Complessivamente, nel 2017 sono stati prodotti in questa regione 3,97 milioni di ettolitri di birra (oltre il 25% del totale nazionale) e ne sono stati consumati 4,1 milioni (quasi il 21% del totale).

La filiera lombarda della birra garantisce all’Erario oltre 1 miliardo di euro (1.062 milioni) tra Iva, accise, imposte sul reddito e sul lavoro, ecc., pari al 5% del gettito tributario regionale. In Lombardia, inoltre, la birra paga 662 milioni di euro di salari a quasi 24.500 dipendenti di tutta la filiera, che corrispondono al 26,6% del totale nazionale addetti (oltre 92 mila).

Il settore birrario, dunque, contribuisce in maniera significativa allo sviluppo e al benessere della Lombardia, una regione che si conferma sempre più il motore trainante dell’economia italiana.

Polonia: uno sguardo su uno dei top player mondiali della birra

By Osservatorio

Leggi l’articolo originale su The First News

Un cittadino europeo medio consuma 76 litri di birra all’anno, di cui 7,8 litri provenienti da uno dei principali produttori di birra al mondo: la Polonia.

In Europa la Polonia occupa il terzo gradino del podio per quanto riguarda la produzione della “bevanda dorata”. La precedono la Germania (saldamente in vetta con il 16% della produzione totale dell’UE) e il Regno Unito (14%). Inoltre il numero di birrifici polacchi sta aumentando: nel 2017 ci sono state ben 60 nuove aperture, per un totale – ad oggi – di 210 realtà.

Questo aumento è il risultato della crescente popolarità della birra, delle tendenze dei consumatori e del fatto che la birra è ‘in’. I consumatori stanno diventando consapevoli dei vari stili di birra, vogliono assaggiare cose nuove e la crescente prosperità significa che le persone sono disposte a pagare di più per una migliore qualità“, afferma Bartłomiej Morzycki, direttore generale della Browary Polskie.

Un cittadino polacco, in media, consuma quasi 100 litri di birra all’anno. La stragrande maggioranza dei bevitori di birra sceglie birra prodotta nel proprio Paese (le importazioni rappresentano appena il 2%) e tre quarti dei polacchi consumano birre chiare.
Molto popolari sono anche le Ale, le birre cioè basate sul processo di “alta fermentazione” che avviene a una temperatura di 15-25 gradi Celsius. Ci sono sempre più polacchi disposti a gustare nuovi sapori esotici: aldeide, erba, mandorle o birre radler. “Una tendenza degna di nota è la costante diminuzione della gradazione alcolica nella birra e il decremento del numero di birre forti a favore di birre poco alcoliche o non alcoliche“, afferma sempre Bartłomiej Morzycki.

Il boom della birra va oltre i nuovi birrifici e si estende anche ai pub specializzati, di cui alcuni sono i cosiddetti “multi-tap”: ogni giorno questi esercizi offrono birre diverse, dando la possibilità ai consumatori di assaggiare dozzine di referenze in un solo mese e sempre nello stesso posto.

L’alta qualità della birra polacca è il risultato di lunghe tradizioni birrarie. Con il suo clima e l’abbondanza di acqua sorgiva, la Polonia è sempre stata un buon posto per coltivare cereali e luppolo. La produzione esplose nel Medioevo, quando i monaci iniziarono a produrre birra. Già nel XIV secolo c’erano birrerie a Kalisz, Pułtusk e Danzica, mentre il birrificio più antico in Polonia è a Lwówek e risale al 1209.

Infine, una curiosità. La leggenda narra che Clemente VIII (papa dal 1592 al 1605), mentre era in visita in Polonia come Ippolito Aldobrandini, si innamorò della birra prodotta a Warka. Poi tornò a Roma e si ammalò e nei deliri della malattia parlò così: “Sancta piva di Polonia… sancta biera di Warka…”. E i sacerdoti al suo fianco iniziarono a pregare per quell’ignoto “San Piva”.

Che poi, letteralmente, vuol dire proprio “Santa Birra“.

La birra crea valore per l’Italia. Oggi il settore vale quasi 9 miliardi

By Osservatorio

La birra genera molto più valore di quello che appare guardando solo la produzione. La filiera della birra infatti genera valore aggiunto in agricoltura, nella logistica, nella distribuzione e soprattutto nella vendita, moltiplicando la ricchezza creata in Italia. Questo è il valore condiviso*.
Ebbene, negli ultimi due anni, dal 2015 al 2017, il contributo della filiera della birra italiana alla crescita della ricchezza e al benessere del nostro Paese  – il valore condiviso – è cresciuto di 1 miliardo di euro (+12,9%), passando da 7.834 miliardi a 8.863 miliardi di euro, lo 0,51% del PIL italiano. Allargando lo sguardo e facendo un raffronto con il settore delle bevande in generale, il valore condiviso della birra è equivalente a circa la metà (47%) del valore della produzione di bevande nazionale (che ammonta 18,9 miliardi), è pressoché pari alla produzione vinicola (stimata in 9,5 miliardi nel 2017) e rappresenta il 186% del valore produttivo di soft drink e acque minerali (stimato in 4,8 miliardi).

In uno scenario senz’altro positivo a livello nazionale, è da sottolineare la grande performance della Lombardia, che oggi rappresenta il 25,5% del totale del valore condiviso italiano del settore con 2.269 milioni di euro, dimostrandosi il vero e proprio motore della produzione di birra in Italia, come evidenzia la quarta ricerca di Osservatorio Birra promosso da Fondazione Birra Moretti e realizzato da Atlhesys.

Ma i dati positivi non si fermano qui, perché dal 2015 al 2017 l’intera filiera della birra in Italia è stata in grado di offrire ben 6.000 posti di lavoro in più (+5%), assicurando lo scorso anno lavoro a 92.066 dipendenti ai quali ha distribuito salari lordi per quasi 2,5 miliardi di euro.

La contribuzione fiscale della filiera della birra nel nostro Paese è aumentata ad un ritmo ancora più marcato: +17,7%, passando da 3,6 a 4,2 miliardi di euro: quasi l’1% (0,92%) delle entrate fiscali complessive del nostro Paese.

La birra, dunque, non porta ricchezza solo ai produttori, ma di questa crescita hanno beneficiato soprattutto le fasi a valle e a monte della filiera. Il valore condiviso relativo alle forniture di materie prime è salito infatti dai 273,3 milioni del 2015, ai 391,3 milioni di euro (+45%). Numeri importanti anche per la fase di distribuzione e vendita, che passa da 6.041 a 6.856 milioni di euro (+13,5%).

In questo contesto va sottolineata la performance della vendita di birra nei bar e ristoranti, che cresce da 4.859 a 5.661 milioni di euro. Il mondo che ruota attorno ai consumi fuori casa di birra continua a cresce ed è arrivato a rappresentare il 64% (2 anni fa era il 58,5%) del totale del valore condiviso della filiera birra.

 

* Valore Condiviso / Shared Value Theory: Creating Shared Value (CSV) è un concetto di business introdotto per la prima volta nell’articolo di Harvard Business Review Strategy & Society: Il legame tra vantaggio competitivo e responsabilità sociale d’impresa
L
a stima del valore condiviso generato dall’industria della birra è stata condotta secondo una specifica metodologia sviluppata e utilizzata da Althesys nello studio “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato nel 2018 per conto dell’Osservatorio Birra e promosso dalla Fondazione Birra Moretti. La metodologia considera le diverse fasi della filiera produzione-consumo nella quale le attività aziendali si inseriscono: dall’approvvigionamento di materie prime, beni e servizi, alla logistica, fino alla distribuzione e vendita.

La creazione di ricchezza è valutata per ogni fase della value chain, considerando effetti diretti, indiretti e indotti delle attività dell’industria birraria italiana.

La monotonia della cultura birraria tedesca

By Osservatorio

Leggi l’articolo originale su Brew Berlin 

Non si dice spesso, ma oggi la cultura della birra in Germania è diventata monotona:  l’offerta di birra nella maggior parte dei bar e dei ristoranti è limitata a due o tre marchi e la richiesta più frequente dei clienti è semplicemente “Ein Bier, bitte” (“una birra, grazie”).
Un trend in netto contrasto con la ricchezza del patrimonio birrario teutonico. Naturalmente, ci sono delle eccezioni regionali (ad esempio in Baviera). Ma resta il fatto che per la maggior parte dei tedeschi, oggi, “birra” è sinonimo di Pilsner.
E neanche la Pilsner sembrerebbe godere di buona salute.

Il triste destino delle Pilsner
Infatti, nell’ultimo decennio, le vendite sul suolo tedesco della Pilsner sono costantemente diminuite. I tedeschi sono notoriamente attenti al prezzo e questo ha generato una corsa al ribasso in cui i birrifici hanno iniziato una competizione sul prezzo piuttosto che sulla qualità.
Per attrarre un pubblico sempre più vasto, i produttori hanno progressivamente modificato e “semplificato” le caratteristiche dei propri prodotti, diminuendo ad esempio le note troppo amare della birra.

Le artigianali
In questo scenario, i birrifici artigianali – dopo una prima fase “senza compromessi” – hanno iniziato a ritagliarsi una fetta di mercato sempre più consistente e questo ha portato, in molti casi, ad adattare la propria produzione in funzione dei feedback della grande distribuzione, compromettendo di conseguenza lo stile di partenza.

La “corruzione” degli stili
Ecco perché, forse, la più grande minaccia per la birra in Germania è proprio la “corruzione” degli stili, attuato in virtù della riduzione dei costi. Il costo del luppolo americano, ad esempio, è aumentato drammaticamente negli ultimi anni e la produzione di alcuni stili è diventata impraticabile, soprattutto per i birrifici più piccoli. A differenza degli Stati Uniti, le Pale Ale prodotte in serie che compaiono nei bar e si contendono l’attenzione sugli scaffali dei supermercati utilizzano quantità di luppolo notevolmente inferiori alle referenze statunitensi.

Il fattore prezzo
Mentre i grandi produttori internazionali possono offrire i propri prodotti a prezzi bassi in virtù di volumi produttivi enormemente maggiori, i birrifici più piccoli non possono competere sul prezzo. E per il panorama birrario tedesco – in cui i consumatori sono sempre più attenti al portafoglio – questo trend è pericoloso.

Una durata di conservazione eccessivamente lunga
La birra, lo sappiamo, va bevuta giovane. Purtroppo, in Germania non c’è una regolamentazione sulla data di scadenza per la birra, quindi i birrifici sono liberi di decidere in modo indipendente quale scadenza indicare in etichetta. I produttori di Pilsner indicano spesso 9 mesi o più. Ma nelle Pilsner le note di luppolo sono molto lievi. Il discorso è diverso se parliamo di altri stili come Pale Ale e IPA: aromatiche e fruttate nel momento del confezionamento, se soggette a una scadenza troppo lunga rischiano di diventare insipide nel momento in cui saranno consumate.

Conclusione
Semplicemente, produrre birra di qualità costa. Le birre belghe, ad esempio, hanno bisogno di temperature di fermentazione accuratamente calibrate, determinate materie prime, tempi prolungati e competenza tecnica. E ciascuna di questi elementi, ha il suo costo.
I produttori e i consumatori tedeschi dovrebbero comprenderlo ed esser pronti a pagare la differenza. Senza questa comprensione, si corre il rischio di continuare a “corrompere” gli stili.

Gli italiani e le birre speciali

By Osservatorio

Da otto anni a questa parte l’industria della birra in Italia sta vivendo un periodo di forte crescita e nonostante il nostro Paese faccia registrare un consumo pro capite basso della bevanda, si dimostra tra i mercati più dinamici, grazie anche al traino delle birre “speciali”. Questa categoria eterogenea racchiude prodotti molto diversi tra loro per tecnica di produzione, gradazione alcolica o tipologia di fermentazione, come le Ale, Trappiste, birre rifermentate, Rosse, Stout, ma anche birre più “vicine” alla normale lager, come Regionali, Radler, Light o Analcoliche.

Dal 2010 al 2017 le birre speciali sono infatti cresciute del +49,5% a volume e del +69,7% a valore, come sottolinea il terzo rapporto di Osservatorio Birra “Dalla birra alle birre” promosso da Fondazione Birra Moretti e realizzato da Althesys. Se fino a 10 anni fa il consumatore sceglieva 9 volte su 10 una birra chiara, oggi nella grande distribuzione organizzata (GDO) le birre speciali rappresentano una parte importante del mercato, che ha conquistato una buona fetta dello scaffale. Nei supermercati la crescita delle birre speciali si può vedere anche a occhio nudo: negli ultimi 4 anni il livello medio di birre a scaffale è aumentato del 20% e i due terzi sono da attribuire alla particolare categoria delle birre speciali.

La maggiore complessità delle birre speciali educa e affina il gusto in fatto di birra dei consumatori, confermando che la cultura della birra in Italia sta passando attraverso la varietà, che è sinonimo di ricchezza.